Tania (Venice, 1986) and Lazlo (Verona, 1984) live and work in Venice, Italy.
Their artworks, a fusion of photography, cinema, performance and installation, are the synthesis of their professional experiences that enable them to be completely autonomous in the execution of artworks related to the world of Staged Photography: from the integral making of sets, dresses and interpretation of the characters, to lighting, shots and post-production.
Current and future exhibition:
curated by Stefano Cecchetto
Museo del Paesaggio, Torre di Mosto (VE)
All’epoca della sua nascita, nel gennaio 1839, la fotografia non poteva immaginare che la sua ambigua parentela con la pittura avrebbe ben presto scatenato la Guerra per l’immagine. I primi frutti del nuovo mezzo linguistico, la cui unica funzione pratica era da molti reputata volgare, non potevano oltrepassare la barriera intellettuale innalzata dall’arte figurativa: la fotografia mosse i suoi primi passi da “serva umilissima” delle scienze e delle arti.
Tra i vari atteggiamenti di riscatto, la provocatoria esperienza del pictorialism si propose di liberare quella fanciulla fatta di albumina e collodio costretta a spazzare i pavimenti delle arti maggiori. Così alcuni fotografi travestirono i loro modelli evocando scene fiamminghe e romane, immortalando efebici e languidi corpi nudi, esplorando un nuovo linguaggio.
Questo progetto fotografico non può e non deve essere messo in connessione con quei lontani diverbi; la fotografia vive ora al servizio dello spirito creativo, dimostrando di non essere solo una robusta appendice della memoria. Ogni scatto nasce dalla sintesi del percorso formativo dei due giovani artisti impegnati da tempo nella pittura, nella scenografia, nella fotografia e nel cinema.
I colori e le atmosfere dei dipinti della fin de siècle si rinnovano attraverso le tinte forti delle interpretazioni contemporanee, facendo stridere gli occhi dell’osservatore coinvolto in continui déjà vu.
The images are a result of hard work, from the realization of scenographies to the cleverly composed shots worked out in every phase, to the interpretation of those beauties that seem little by little to consume themselves because of a mysterious illness of the soul… Photography is the same fatal woman portrayed in Klimt’s, Shiele’s and Casas’ paintings, the reflection on the retina of a humanity drowned in an uncertain condition.
Le opere sono figlie di un immenso lavoro, dalla realizzazione delle scenografie, agli scatti sapientemente elaborati in tutte le loro fasi, all’interpretazione di quelle bellezze che paiono consumarsi a poco a poco per una misteriosa malattia dell’animo… La fotografia è la stessa donna fatale ritratta nei dipinti di Klimt, Schiele e Casas, il riflesso nella retina di un’umanità immersa in una condizione incerta.
Le immagini, figlie della ricerca di un tempo perduto, rivelano il “panico per l’inevitabile inganno che irretisce la nostra vita, la rovinosa totale caduta in questa terribile condizione” (Auerbach) che si rinnova nel silenzio degli scatti contemporanei. In un’epoca di crisi culturale e politica, l’ambiente polveroso dell’atelier decadente si trasforma nella patina lucida della fotografia senza smarrire la sensazione del precipizio in cui l’artista viene irrimediabilmente gettato.
La malinconia degli sguardi persi in un’altra dimensione, il tedio, lo spleen rievocati in queste opere svelano la sensibilità dei nuovi mezzi artistici così dubitata e discussa proprio negli anni in cui gli stessi quadri venivano dipinti. L’immortalità delle modelle di Schiele, il mistero amaro delle donne di Klimt, le enigmatiche muse di artisti di minor fama rivivono in una nuova forma impressionando i loro sospiri nell’immagine contemporanea.